Cosa convince un genitore a portare il proprio figlio in Psicoterapia? Tanti bambini e adolescenti hanno comportamenti strani eppure non solo per questo necessitano di Psicoterapia. Quello che spesso maggiormente preoccupa è il ripetersi di comportamenti effettivamente strani ma anche portatori di disagio per il bambino o l'adolescente e per l'ambiente sociale in cui vive. Quando infatti comportamenti nuovi del proprio figlio tendono a ripetersi in modo coatto e a rendere difficile l'adattamento con la famiglia, con la scuola e con l'ambiente relazionale allora effettivamente dovremmo iniziare a preoccuparci.
Purtroppo quando i genitori si decidono a richiedere una terapia per un figlio, di solito la situazione è già divenuta particolarmente difficile, al limite dell'insostenibile. Il ruolo dei genitori nel lavoro terapeutico con il bambino è a dir poco fondamentale. Si potrebbe dire che la maggioranza delle terapie infantili si configurano come terapie indirette con la coppia genitoriale o la famiglia, coninvolgendo il minore solo nei momenti strettamente necessari e solo in fase di osservazione; difatti il bambino vive immerso nel proprio sistema famigliare ed un cambiamento del sistema si ripercuote in modo quasi automatico sul bambino.
Un tema altrettanto importante di cui si dibatte spesso con le famiglie è quello della responsabilità rispetto al disturbo del bambino. Molti genitori portano sulle spalle, in modo schiacciante, il senso di colpa per il disagio del proprio figlio, pensando che se lui sta male allora la causa sono loro genitori. Questa visione spesso paralizza l' intervento terapeutico che rischia di divenire un processo alle intenzioni come in una specie di tribunale psicologico e di togliere spazio alle soluzioni. Piuttosto occorre considerare che ogni sistema famigliare si influenza reciprocamente, un evento inatteso, un lutto, un incidente, anche solo una fase di crescita verso cui si può essere poco preparari può destabilizzare una famiglia e tale squilibrio può essere espresso direttamente dal minore senza che questo rappresenti il risultato di una responsabilità diretta e deliberata.
Come funziona un percorso di terapia in caso di pazienti minori? Per prima cosa occorre dire che il minore deve essere almeno in età scolare. Esiste la possibilità di lavorare anche con bambini più piccoli, ma in questi casi non li coinvolgo direttamente e lavoro unicamente con le famiglie associando, se necessario, anche una consulenza pedagogica con miei collaboratori. Quando invece si presenta una situazione di disagio psicologico in bambini in età scolare ( 6-11 anni ) è possibile coinvolgere anche il minore insieme alla sua famiglia. In generale l'intervento si snoda in differenti fasi: colloqui con la famiglia con e senza il minore, osservazione infantile del bambino insieme e senza il genitore, colloqui di restituzione alla famiglia dei risultati delle osservazioni. L'insieme di queste fasi porta a formulare un'ipotesi relativa al disturbo del bambino, a produrre un preciso protocollo di intervento che si traduce in una serie di indicazioni precise da svolgere da parte della coppia genitoriale a favore del bambino ed al supporto psicologico al bambino dove potrà esprimere liberamente la propria emotività.
Diversamente nel caso di adolescenti, includendo comunque l'intera famiglia nel percorso terapeutico, è possibile in molti casi svolgere un tipo di intervento maggiormente simile a quello che si svolgerebbe con un adulto, ovvero con colloqui individuali a cui far seguire incontri famigliari per fare il punto e valutare il grado di coinvolgimento della famiglia nel percorso terapeutico.
Dott. Luca Benini
Psicologo Ipnoterapeuta e Psicoterapeuta
Forlì
Psicologo Ipnoterapeuta e Psicoterapeuta
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